Chi è Alda Merini?
Sono sicura che tutti sanno di chi sto parlando! Io ho letto alcune sue poesie e, nel tempo, oltre alle sue opere mi ero interessata alla sua vita, al suo modo di vivere e sopravvivere, prima e dopo la terribile esperienza in un manicomio. Purtroppo ho sempre trovato notizie frammentate, incastri, interpretazioni, risultava essere una “eroina del caos”, una donna difficile da comprendere e, con la quale almeno in apparenza, risultava non facile condividere talune scelte o risposte che sembrava dare via via ai suoi interlocutori.
Ecco che l’uscita del libro “L’eroina del caos” di Annarita Briganti , CAIRO editore è stata l’occasione per conoscerla meglio. Annarita, in questo libro, ha svolto un lavoro di ricerca, basandosi su fonti e racconti di chi ha condiviso con lei pezzi di vita.
Il fatto che per la prima volta Annarita Briganti abbia deciso di scrivere un saggio, mi ha incuriosita ancora di più.
Come sempre, se mi leggi qui, sai che dialogo con autori e persone che hanno nel loro campo qualche cosa di interessante da dire e che mi piace cercare approfondimenti sui libri, ma anche sugli aspetti più umani che caratterizzano coloro con i quali dialogo.
Ho intervistato Annarita che è stata molto disponibile, sincera e diretta nella sue risposte.
Tu napoletana, almeno di origine, lei milanese. Quando e come è nata la tua voglia di scrivere di lei? Ho sempre desiderato scrivere una biografia e ho scoperto che mi piace molto farlo. Nel decennale della scomparsa di Alda Merini ho sentito il bisogno di riordinare, finalmente, la sua vita pubblica e privata.
Per quanto riguarda l’aspetto geografico anche io sono milanesissima, dopo tanti anni nella città che ho scelto e che ho sempre amato, anche quando non vivevo a Milano. E, se proprio dovessi darmi una etichetta geografica, mi sento italiana ed europea, oltre a napoletano-milanese. Alda Merini, sicuramente icona di Milano, resta uno dei pochi italiani candidati al Premio Nobel per la Letteratura.
Con le dovute proporzioni e differenze, quali sono gli aspetti che senti di avere in comune con la grande Alda? Quando Alda Merini lascia detto nelle segreterie telefoniche – che allora andavano per la maggiore –: «Siete tutti fuori a divertirvi e mi avete lasciato sola» siamo tutte e tutti noi. Siamo tutti “eroi del caos”. Per entrare un po’ di più nello specifico, con riferimento prevalentemente alla sfera personale, il senso di solitudine, che non dipende da quante persone tu abbia attorno. Le difficoltà che derivano da una scelta rischiosa come quella di scrivere. Rinunciare a tutto per la scrittura. Superare gli ostacoli. Non avere paura di esporsi in prima persona. Non avere paura di essere la donna che vorrei essere. L’amore per le parole e una casa minuscola. Ogni giorno vorrei una casa vera. La sento molto vicina, sempre.
Riferendoti all’analisi del dott. G (p. 19) parli del fatto che la malattia della Merini sembra legata alla costrizione di una vita e di uno stile familiare dal lei non accettati. Quale aspetto a lei stava più stretto? In realtà credo che il suo disagio arrivi da lontano, l’ho scoperto proprio scrivendo questo libro. Quanti sanno che Alda Merini è sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale? Oggi, con la terapia della parola e con i nuovi farmaci, sarebbe stato curata in un modo completamente diverso, e non solo perché i manicomi, che lei paragonava ai lager, sono stati chiusi.
Alda Merini diceva che con la poesia non si accumulano ricchezze ma ci innamora. Tu, spesso hai parlato come scrittrice, del valore salvifico della scrittura. Ci spieghi perché. Scrivere è vivere, è amore, è come respirare. Alda Merini supera dodici anni di manicomio e cosa fa? Ricomincia a scrivere.
Se Alda non avesse sperimentato il manicomio, in quanto vissuta successivamente alla chiusura di queste strutture, sarebbe cambiata la sua poesia? Alda Merini è Alda Merini nonostante il manicomio, non grazie a esso. Sta in questo la sua grandezza.
Gli amici di Alda non erano mai amici tra loro, perché? Molti mi hanno raccontato che lei li teneva separati tra loro, ma, come sempre, ci sono delle eccezioni. La scena in cui Alda Merini affida Lietta Manganelli a Giovanni Nuti e viceversa, perché sa che sta per morire, mi fa commuovere ogni volta. Mi fa piacere, a dieci anni dalla sua scomparsa, averli riuniti in un libro, che contiene una ventina di testimonianze inedite e si chiude con un testo di Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi.
E tu Annarita come scegli i tuoi amici? Sono amici tra loro? Ho un grande rispetto per questa parola. Anche l’amore, per me, è basato sull’amicizia.
La Merini non aveva parole molto “buone” per gli editori. In base alla tua esperienza, ci sono stati dei cambiamenti in questo mondo, rispetto a quanto vissuto da lei oppure no? Lei provocava, è stata amica di editori e la sua generosità la portava a non dire mai di no. Il mondo dell’editoria è ancora alle prese con una grave crisi, ma è un settore talmente cruciale per la collettività, per la società, per il mondo, per i singoli che non bisogna mai mollare. Vorrei che anche i lettori di libri VERI, come questo, si facessero sentire di più.
Per questo libro hai letto e studiato molto di Alda e hai raccolto numerose testimonianze inedite, se qualcuno non avesse mai letto nulla di lei da cosa suggeriresti di iniziare? Dalla sua vita, che, nel caso di Alda Merini, è strettamente connessa alla sua opera.
Con le tue testimonianze delle figlie di Alda hai riscattato il suo ruolo di mamma. Qual è stato il suo insegnamento maggiore verso le figlie? A non tirarsi mai indietro, come stanno facendo per tenere viva la memoria della loro grande madre.
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