Ho conosciuto Mattia tramite i social, leggendo i suoi post e soprattutto sentendo le sue stories su Instagram.
Da subito ho avuto l’impressione che fosse un bravo ragazzo, trasparente, sincero e con qualche crepa nell’anima. Man mano, ho letto di lui, della sua vita e dei sui sentimenti. Ci siamo anche scambiati qualche impressione sui libri, anche se abbiamo parlato più spesso di ferite, di vita e di come raccontarsi partendo dal profondo, tirando fuori il vero sentire di fronte alla paura, all’ansia, all’amore. Come dice Mattia “parole che creano relazioni”!
Qualche tempo l’agitatore culturale che risiede in Mattia ha deciso di creare il podcast “Sfondare” e, in anteprima, ho ascoltato una piccola parte.
Le sue riflessioni ad alta voce mi hanno commossa e la sua sensibilità nel raccontare un avvenimento così deflagrante della sua vita mi hanno dato l’opportunità di conoscerlo ancora meglio. Mattia si è messo a nudo, ha lasciato scorrere sulla tastiera i suoi attacchi di panico, le violenze, la paura, la depressione e molto altro, creando un opera che non è solo autobiografia, ma anche un esercizio psicologico per andare oltre, per guardarsi dentro e fuori con coraggio.
Non voglio dire molto perché credo che, solo ascoltandolo, si possa realmente capire la grande portate di questo podcast e di quanto Mattia sia in grado di trasmettere con le sue parole, sempre misurate, taglienti, cucite come solo un abile sarto sa fare.
Con grande mia gioia Mattia ha accettato di farsi intervistare, una gran bella occasione per conoscerlo meglio.
La mia prima domanda è sul tuo ultimo progetto: il podcast Sfondare. Ci spieghi come è nato questo bisogno di raccontarti e soprattutto di farlo in questo modo? Sfondare comincia inconsapevolmente proprio quella notte in cui è avvenuto il rapimento. Non aveva questo nome e non prevedeva di essere poi raccontato, ma fin da subito, una parte di me sapeva che quell’accadimento avrebbe segnato un prima e un dopo.
Credo che ci siano sempre fatti che hanno il sapore e l’odore della chiusura di un’epoca. Ecco, quel rapimento è stato per me la fine di un ciclo. Ed è avvenuto in un momento – o in un’era – già di cambiamento, di autoanalisi, di terapia farmacologica per gestire la mia depressione che in quel periodo si è scatenata più forte che mai. Così, dopo tante sedute di psicoterapia, alcune di naturopatia e altre di psichiatria, all’inizio di febbraio ho iniziato a pensare un mezzo per comunicare che fosse in grado di veicolare una storia non semplice, ma per me necessaria e un podcast mi è sembrato attuale e soprattutto molto adeguato.
Con la mia terapeuta ne abbiamo parlato a lungo sul perché ho questo bisogno della scrittura e del pubblico. Secondo lei è una sorta di rispecchiamento: io scrivo, la gente si riconosce, mi torna un feedback e aiutare gli altri aiuta me stesso. E io sono d’accordo.
Ci racconti perché ti definisci un agitatore culturale? Mi definisco un agitatore culturale perché mi piacciono le sfumature che il verbo agitare può assumere. Intendo che agitatore rimanda a qualcosa in movimento e che tuttavia implica un coinvolgimento attivo, rimanda a qualcosa che non sta fermo e che non può star fermo, rimanda a uno stato di moto che secondo me rappresenta – o dovrebbe rappresentare – chi lavora con la materia viva delle storie.
L’Arte e la Bellezza salveranno il mondo solo se noi permetteremo loro di farlo. E in questo serve essere dinamici, esplorare tutti i “nuovi” mezzi che abbiamo a disposizione oggi riuscendo tuttavia a tenere la barra dritta sull’obiettivo: raccontare ed ascoltare storie.
Come è nata la tua passione per la letteratura? C’è un libro che ha segnato in modo particolare il tuo percorso? La mia passione per la letteratura in senso alto nasce in realtà con la scelta dell’indirizzo universitario – che per tanti motivi non mi ha poi soddisfatto in termini contenutistici, ma che è stata la realizzazione che io quell’ideale della letteratura lo volevo davvero perseguire. Vengo da una famiglia che ha sempre dato valore al libro e se ce n’è uno in particolar modo che ha segnato una svolta soprattutto nella mia percezione e idea del mondo è stato indubbiamente Harry Potter.
La mia generazione è cresciuta in quell’universo denso di elementi fantastici e insegnamenti veri e basi di vita. I primi libri me li leggeva mia madre prima di addormentarci perché ero toppo piccolo, poi, in quarta elementare ho cominciato a portarmi a scuola Il calice di fuoco e a leggerlo durante gli intervalli. E da lì, pian piano, è venuto tutto il resto. “Dopo tutto questo tempo?”. “Sempre”.
Da grande lettore quale sei, cosa suggeriresti di leggere in questo periodo, nel quale molti faticano a trovare la concentrazione per leggere? Questo periodo in effetti si maschera da tempo sospeso, smascherando tutte le nostre fragilità e mettendo a dura prova il mondo che abbiamo conosciuto fin qui.
Non so se dopo tutto sarà diverso, anche se io in parte me lo auguro. So che dopo cambierà il nostro modo di raccontare storie e sarà necessario rifondare il mito così per come lo conoscevamo. Dunque, in questo periodo sto leggendo romanzi che parlino di dinamiche di vita, relazioni più ristrette (rapporto padre-figlio, rapporto di coppia), situazioni complesse. Sono totalmente in disaccordo con il categorizzare i libri in “tristi” o “felici”, ma credo che ora sia il momento di leggere di noi, di autori che ci raccontano con chiarezza e verità, e soprattutto di leggerci in dinamiche complesse, reali ma complesse.
Credo che in questo momento siano adatte tutte quelle storie che ci facciano tornare a ragionare sulla complessità in senso assoluto, sulla complessità del mondo e sulla complessità di noi stessi e delle nostre relazioni. L’ultimo libro letto, in questo senso, è “L’inconveniente di essere amati” di Alcide Pierantozzi, uscito a marzo per Bompiani.
Al momento ovviamente abbiamo tutti delle restrizioni, ma ci parli dei progetti nei quali sei impegnato? Come molti operatori del mondo della cultura e dell’editoria in questo momento i progetti rallentano o vengono sospesi. A gennaio avevo programmato un incontro al mese al comune di San Donato per parlare di autori specifici, alla libreria di Crema La Storia con la quale collaboro da due anni stavo portando avanti il mio percorso di lettura #UmanitàInVersi, con altre librerie avevo altre presentazioni in ballo e pareri di lettura da dare e risposte da editori da attendere per quanto riguarda il romanzo che ho scritto… ma per ora è tutto fermo.
E, come se non bastasse, sono stati sospesi anche gli allenamenti di minibasket che conduco: ho una squadra di diecenni che mi insegnano tante cose quante me ne insegna la letteratura e che mi mancano un sacco. In tutto questo, però, la lettura non si ferma, la scrittura non si ferma (sì, non ho pubblicato il primo ma scrivo già il secondo e scrivo racconti), continuo a valutare i manoscritti che ci arrivano alla rivista letteraria CrackRivista e produco contenuti per il web.
Infine, come dicevo prima, ho progettato, scritto e autoprodotto il podcast Sfondare perché le storie non si fermano e i mezzi che abbiamo ci aiutano in questo. Sto tornando all’oralità in questo momento, ecco, che poi è la più antica forma di tramandare storie e miti.
C’è un aspetto di te del quale sei orgoglioso e cosa, invece, vorresti migliorare diventando “grande”? L’aspetto che più mi rende orgoglioso e che più vorrei migliorare allo stesso tempo è la mia determinazione e precisione maniacale nel fare le cose: è una salvezza e mi ha spinto ad arrivare dove sono ora, ma al tempo stesso presuppone sentirsi sempre sotto pressione per aspettative la maggior parte delle volte autoimposte.
Hai un fidanzato e ne parli con così tanto amore che, come sai, mi commuovi ogni volta. Come vi siete conosciuti? Era un’assemblea di istituto per la quale mi ero offerto di fare da relatore: classico e scientifico uniti a discutere di temi comuni in classi miste con ragazzi a gestire e moderare la discussione. E in classe mia capita un morettino svogliato e assolutamente disinteressato che in un angolo ascoltava la musica con le cuffie nelle orecchie senza intervenire su niente. Ha colpito nel segno il mio ego ed è stata un po’ una sfida il conquistarlo – è durata poco perché sono oggettivamente irresistibile – ed è una sfida tutt’oggi di crescita, consapevolezza, maturazione.
Ci hanno unito forse soprattutto e all’inizio le nostre ferite originarie: la separazione dei miei e le sue vicende familiari. E per un anno ci siamo vissuti una storia in bilico perché io uscivo dalla mia prima relazione omosessuale dopo tante ragazze che mi aveva rivelato un modo di amare che non conoscevo ma che al tempo stesso era stata per me totalizzante, e per Andrea era la prima relazione seria in assoluto. Non è stato facile, ma è stato – ed è – molto bello e molto amore.
Ricordo che il coming-out del fatto che stessimo insieme – quello personale lo avevo fatto durante la prima relazione – fu una foto di un bacio mio e di Andrea che postai come copertina di Facebook senza nessun preavviso il giorno della strage di Orlando: volevo rispondere con l’amore a chi aveva provato a distruggerlo. E credo che il trucco stia tutto lì: amore, non odio.
C’è una domanda che non ti hanno mai fatto e alla quale ti piacerebbe rispondere? In realtà è una domanda che mi – e ci – fanno sempre alla quale spesso avrei voluto, e a oggi vorrei, rispondere più sinceramente. Ed è il “Come stai?”. Avrei voluto, e vorrei, che non rimanesse soltanto una mera formula di saluto, ma che, se fatta da una persona con la quale si ha una relazione che superi la mera conoscenza, iniziasse a diventare un prendersi del tempo per raccontare davvero il proprio stato d’animo. Prendersi tempo per le emozioni e ascoltarsi: può apparire banale, retorico, noioso, ma è tutto quello che conta.
Sogno nel cassetto e progetti futuri? Ce ne vuoi parlare? Credo di essere stato abbastanza bravo, o abbastanza folle, da riuscire a tenere il passo con i sogni che avevo. Certo, poi arriva la realtà con le incombenze materiali, le scadenze economiche, l’indipendenza e al tempo stesso il sottostare al sistema. Tuttavia, ho una camera piena di libri, una famiglia che seppur separata mi vuole bene, un fidanzato che mi ama, – pochi – amici fidati e una terapeuta che mi sta aiutando. Per quanto io sia di base un pessimista, credo di non potermi lamentare. Certo, mi piacerebbe vedere un giorno il mio libro sugli scaffali di una libreria (di fianco a un Tondelli magari), ma ci sto lavorando e allora il sogno farà meno rumore se non si realizzerà esattamente come avevo immaginato.
PS. Il mio vero sogno da sempre sarebbe stato diventare paleontologo, quindi se qualcuno avesse da offrirmi una spedizione per andare a scavare ossa di dinosauri, sappia che con me ha manovalanza gratuita.
Saluto Mattia con un grande in bocca al lupo e con il desiderio di vedere un suo libro sugli scaffali e di poterlo intervistare in una delle sue librerie del cuore, proprio parlando del suo romanzo. E non mi dimenticherò di iniziare chiedendogli “Come stai?”
Nel frattempo, oltre che su Instagram, puoi leggere di lui qui.
Ciao Elena.
E tu come stai?
Direi bene, ma non benissimo 🙁
personaggi diversi ma ugualmente interessanti presenti nel tuo spazio virtuale. Anche questa volta hai colto nel segno.
Un abbraccio
Carissimo, Mattia è un ragazzo davvero speciale. Grazie a te che mi leggi e mi commenti sempre! Un abbraccio grandissimo